Soliloquia: La scorciatoia della fuga, il sì della resa.
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- Creato: 06 Novembre 2015
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“Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.” Lc. 14,26-27
Tutti gli storici attenti individuano non tanto la povertà come quid di Francesco, ma la Minorità.
La Minorità per Francesco era svelata dal mistero dell’Incarnazione. Sappiamo come l’amore concreto, plastico, visivo che Francesco aveva per il Santo Natale lo porta a Greccio. Ed a scrivere pagine straordinarie sull'Eucarestia.
Nel contempo la minorità era svelata dalla sequela. Sequela intesa come il mettere i passi propri dietro i passi del Signore. Ovunque essi portavano.
Sia essi portavano ad esporsi o a nascondersi.
Abbracciare la propria croce e seguire il Signore diventano non solo l’a-priori, la scelta previa necessaria, ma soprattutto l'abilitazione, la possibilità (δύναται) di comprendere realmente Cristo.
Cioè se non "porti" la tua croce e non segui Gesù non lo comprendi.
In sostanza la resa, la capacità di abbracciare con dedizione la propria croce e la propria storia e seguire il Signore sono il luogo necessario e previo per comprendere Dio. Come ogni beatitudine. Le quali appunto non sono solo promessa futura ma incipit necessario.
Si entra nel Regno a cominciare dalla scelta/resa di farne parte. Eccomi!
Non salva dunque la nozione di Dio, la catechesi, intesa come somma di contenuti. Non salva la teologia. Non salva il diritto. Non salva il catechismo. Tutte cose necessarie e da coltivare. Quello che salva è la decisione, nello Spirito Santo, di seguire il Signore con la nostra croce, oggi.
Questo ci abilità realmente a comprenderlo e ad essere intimi con Lui. Ed è tutt'altro che un evento sentimentale o melenso.
E più “ne sappiamo” su Dio più siamo a rischio di saperne meno.
Se il saperne ci distrae dall’evidenza quotidiana di abbracciare la croce e seguirlo.
Il sapere accademico, nobile, bello, prezioso, diventa “paglia” (S. Tommaso a Reginaldo) se non è unito a questa decisione e prostrazione costante.
Nel contempo realistica, evidente, attenta.
Come Maria a Cana.
Per tale motivo Francesco esortava i suoi teologi, compreso il grande Antonio da Padova, a non spegnere lo “spirito di orazione e devozione” (FF251-252, 88). Cioè quell’afflato nello Spirito Santo, quel desiderio costante di stare prostrati davanti a Dio e seguirlo con tutto se stessi.
Come il vero ritmo-respiro che anima il nostro peregrinare.
Luogo privilegiato per questo mistero di “non fuga” è la liturgia, più che la catechesi (ovviamente anche se necessaria), perché ci abilita, nelle due forme, comunitaria e personale, distinte solo logicamente, ad entrare nella Sapienza.
Il senso del Sacro, rettamente compreso e coltivato, ci porta ad ampliare l’attenzione al reale.
La vera via mistica porta alla donazione, al consegnarsi, all'essere "frantumato", in Cristo, per Cristo, con Cristo; come proclamiamo nella dossologia al culmine della preghiera Eucaristica.
A cui rispondiamo con "Amen!".
Per questo Francesco abbraccia il lebbroso, ed ogni lebbra. Fino alla conformazione piena delle stimmate.
Per questo San Carlo divenne pastore a tutto tondo, saldo nella dottrina e nel governo e dedito ad ogni povertà del suo popolo.
Per questo san Camillo abbracciava i malati e in loro vedeva Cristo benedetto.
“Donami Signore, di donarmi a Te
E la Tua Luce splenda innanzi a me.
Seguirò il tuo passo, crocifisso Re
Per, nel seguirti, vivere di Te.” (Dalla seconda strofa del canto "Prendi la mia vita", in occasione del diaconato di P. G. Lati)
Paul Freeman